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Jean-Claude Richard de Saint-Non (a cura di), Voyage pittoresque ou description des Royaumes de Naples et de Sicile, Paris 1786, volume IV, seconda parte

Tavola 116
Veduta dell’entrata d’una Latomia di Siracusa comunemente detta Orecchio di Dionigi, incisione all’acquaforte, disegno di Claude-Louis Châtelet inciso da Jacques-Joseph Coiny e da Emmanuel J.N. Ghendt, cm 16,5x24

Tavola 115
Seconda veduta dell’interno della Latomia di Siracusa, incisione all’acquaforte, disegno di Claude-Louis Châtelet inciso da Jacques-Joseph Coiny, cm 16,5x24

La grotta più vasta presente nelle Latomie del Paradiso è rappresentata nella tavola 115. In essa si produceva il salnitro. L’ingresso, osserva Denon, era molto annerito dal fumo. Neri «come i ciclopi», per la fuliggine, erano anche gli operai che vi lavoravano. L’incisione mostra, al centro della Grotta del Salnitro, i forni con il fuoco emananti un denso fumo che rimandava, mediante l’immaginazione, alla fucina di Vulcano.
La tavola 116 raffigura l’esterno della grotta chiamata Orecchio di Dionisio della quale il colto viaggiatore informa che era detta anche Grotta che parla. L’antica cavità, come riferisce ancora lo scrittore, ha pianta ad S e di essa viene tramandato che Dionisio, tiranno di Siracusa, ascoltasse segretamente i discorsi dei prigionieri, ivi rinchiusi, per l’eco che vi si produceva. Denon trova che la risonanza prodotta dalla misteriosa grotta è straordinaria e ne esamina la profondità con delle torce. Scopre degli anelli di ferro e, dall’esterno, ispeziona la piccola camera posta all’altezza della volta. A dare comunque tale nome alla grotta era stato Michelangelo Merisi da Caravaggio il quale, durante il suo soggiorno siracusano (1608), visitando con Vincenzo Mirabella l’antica prigione, osservandone la forma la definì Orecchio di Dionigi.